Spirito di corpo

Son felice perché noto che i poveri mi hanno capito. Son venuti all'Opera, che erano degli esseri passivi, pesanti nella loro miseria, tetri nel loro carattere, quasi sospettosi di noi. Ci guardavano timidi; forse pensavano: che importa a costoro di noi? Che importa della nostra miseria? Prima andavano via da noi dopo aver avuto da noi quel bene materiale di una elemosina o di un tozzo di pane e non ancora ci amavamo. Oggi siamo a un punto brillante. Ci vogliono bene i poveri e sono divenuti esseri attivi. Tutti lavorano con noi per il bene loro stesso. Hanno capito che nell'Opera non c'è posto per i pigri, per i passivi. Sono divenuti attivissimi, dinamici.

Sanno che il pasto quotidiano sta nelle loro mani oltre che in quelle dei benefattori. E lavorano con noi. Seguono tutte le nostre iniziative e vi collaborano con entusiasmo. Per esempio quando sentono che al nostro teatro si recita, gioiscono e si danno da fare per aiutarci. Trasportano oggetti, fanno pulizia, montano la guardia alla porta, servono gli artisti, attaccano manifesti etc. Appena si è aperto il negozio dell'Opera si prestano in ogni cosa. Sono al mercato dalle quattro del mattino per aspettare le Signorine che vanno a prenotare generi; trasportano la roba. Un povero strilla da mane a sera che le cozze sono piene come l'uovo, che freschi sono i piselli e ben fornito il negozio dell'Opera.

In cucina poi ci sono povere che mondano la verdura, fan fuoco alle caldaie, altri poveri girano per prendere la legna dai benefattori. Vengono altri poveri che mi espongono le loro capacità di buoni coltivatori e così curano il pergolato del giardino della cucina etc. E uno spettacolo commovente. Sento dire tra loro: per mangiare dobbiamo tutti lavorare. Pregano per le Signorine dell'Opera e forse anche per il capo dell'Opera e per la Presidente e per i benefattori che pur non visti da loro, lavorano e soffrono per essi. È lo spirito di corpo che si sta ben formando nell'Opera. Tutti per un sol fine: lavorare per il pasto quotidiano e per la soppressione dell'accattonaggio. Ora andiamo d'accordo. Finchè c'è possibilità di lavorare non bisogna arrendersi. Noto anche un'altra cosa. Mi piace che tra gli stessi poveri c'è la vigilanza a non girare più casa per casa per l'accattonaggio. E quando qualcuno o qualcuna zoppica, si rimproverano a vicenda e dicono: L'Opera fa tanti sacrifici e noi dobbiamo continuare a cercare l'elemosina? Oh! mai più!

Così andiamo bene. Cari poveri, siamo tutti uniti e laboriosi. Amiamoci così e intendiamoci così: il lavoro dopo la preghiera deve essere la fonte inesauribile per assicurare il pasto quotidiano. Sappiate che noi dirigenti saremo sempre i primi a lavorare, ma voi non vi stancate di seguirci (Amare 111, 12.5.1946).

Venerabile don Ambrogio Grittani